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tarte tropezienne

 

“La stagione dell’amore viene e va e i desideri non invecchiano quasi mai , con l’età”  Battiato

E non è proprio un atto d’amore stare qui a scrivere , a raccontare , a sperimentare una ricetta?

Più o meno ci vogliono da due giorni a due settimane per scrivere un articolo, ma è solo l’ultima parte di un lavoro lunghissimo che inizia sempre da un’idea, la famosa lampadina che ti si accende all’improvviso.

E non crediate sia facile vivere questa vita di lampadine che si accendono e risultati che non arrivano e che certe volte è una sfida tra te e quello che stai preparando; essì, che ti guarda incattivito e ti lancia la sfida : tu non ci riuscirai mai e lì, ti parte l’embolo che ce la devi fà, ne va della tua reputazione.

Prima di arrivare alla sessione articolo, che scrivi, correggi, aggiusti, aggiungi, cancelli c’è ovviamente tutta una fase che non ha a che fare con le parole.

La ricetta.

La ricetta è la parte fondamentale che fa parte di questa grande giostra e  se proprio lo volete sapere è partito tutto dalla ricetta e chi se lo sarebbe mai immaginato che sarei arrivata qua, a scrivere di cose che a volte non ci centrano niente, ma che invece ad un occhio attento, ci stanno dentro a piè pari, proprio come la farina e lo zucchero.

Ma io non lo sapevo, giuro, non l’avevo nemmeno immaginato che un giorno, sarei stata dall’altra parte dei fornelli come voi, che magari lo sapevate già prima che il vostro destino era tra cocci e caccavelle, divisi nella scelta delle verdure, rigorosamente di stagione e che avreste fatto a voi stessi, ma anche agli altri un pippone esagerato sulla provenienza del sale e su quanti tipi ne esistono; no, non lo sapevo, quando ignara mi scofanavo i dolci industriali, preferendoli spesso, troppo spesso ai dolci di nonna, che continuava a spacciare la zuppa inglese al tiramisù e che faceva i biscotti, di quelli che si scioglievano nel latte solo che lo vedevano da lontano; ed io li volevo industriali ed  ho sempre pensato che fossero i più  buoni del mondo, ed erano ancora i tempi dei coloranti E106 E107 E125 e tutta la famiglia dell’arcobaleno e poi solo dopo ci hanno detto che non erano buoni, ovvio, quando siamo diventati radioattivi come Marie Curie;  E i gusti artificiali aggiunti, che la fragola poteva anche essere polonio, in fondo , chi se ne sarebbe accorto?

Ad un tratto, così come i fulmini cadono a ciel sereno,  sono diventata un mostro e il dolce industriale ho iniziato a guardarlo male, ancora prima dell’era dei no coloranti, no ogm, no polonio, ed è iniziato quella crociata del solo se me lo faccio io o se lo vado a prendere alla pasticceria  sul cucuzzolo della montagna che usa le uova vere , fatte dalle galline mimì e cocò e con la farina macinata ancora a pietra e raffinata col soffio delle vergini tibetane.

Ecco, io sono quel mostro che non compra nemmeno più la pasta sfoglia che la faccio è un attimo e vai giù di braccia lacrime e sudore.

Ma chi me lo doveva dire, che al posto di battere i campi di padel, avrei passato le giornate a studiare la nuova follia ,poltrire beatamente sul divano a poltrire o ancora meglio, andarmene al lungomare a passeggiare!

E invece no, il destino ha voluto che un giorno, a caso, io e la mia incompetenza ci incontrassimo e che da una sfida e un colpo all’orgoglio, nascesse questo amore .

E abbiamo percorso dirupi e vallate a suon di lievitati dalle consistenze gommose e crostate con la stessa friabilità del calcestruzzo e creme che sapevano di farina, per rotolare acciaccati e confusi ma felici, la mia incompetenza ed io, fino a diventare una cosa soltanto.

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E non fatevi abbindolare dalle parole quando vi dicono che un ingrediente vale l’altro,   la farina di tigre del bengala fa più chic solo se abitate a Calcutta e nessuno vi mette in dubbio che sia così.

Non credete ai grassi idrogenati venduti sotto forma di allettanti panetti che promettono dolci soffici che non l’è una cosa buona e se oggi abbiamo finalmente smesso di scrivere wanted sui panetti di burro, quello d’alpe fatto da panne centrifugate, non da agglomerati subdoli pieni d’acqua , che del burro non hanno nemmeno l’aspetto, significa che non solo io, ma anche qualcun altro sta raggiungendo una certa consapevolezza.

E lo zucchero, sappiatelo , ha fatto sempre male, solo che prima lo spacciavano per ricostituente mentre oggi, se lo usi sei quasi alla stregua di un assassino.

Vorrei dire che anche l’APEROL  era venduto come rimedio al raffreddore e nonno, ci chiamava da parte , quando starnutivamo e ci dava un cicchetto di aperol o di china martini 😂😂😂😂😂😂 e poi ti faceva l’occhietto che voleva dire -non -dire-niente-a-nonna-sennò-so-guai- e non mi pare che sia stato demonizzato, ecco, anzi, è diventato un rimedio per malattie quattro stagioni 🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣

Ma in tutto questo, il male del mondo non l’ha fatto lo zucchero, la farina di germe di grano anche senza germe di grano , l’uovo o la gallina, che ancora litigano su chi è nato prima.

Facciamo noi queste esagerazioni, ormai abbiamo fatto il buco nell’ozono, abbiamo i millenni contati e ancora cerchiamo il capo espiatorio di questo sfacelo.

Che poi ‘sto  male è venuto da solo aiutato da questa fretta di bruciare le tappe, di far crescere più veloce, più intenso più immenso, capace di soddisfare l’esigenza di tutti, anche in maniera esagerata, senza però mai garantire a chi ne necessita veramente e non è qui e oggi che farò  questo discorso, tranquilli ( vi ho visti già sbuffare come fanno i miei figli uguale 🤣), ma era per farvi capire che ci sono delle cose che non tornano o forse ritornano e chissà, forse in questo ritorno , avremo finalmente un ritorno AL BUONO.

🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂🙂

Le ricette , dicevamo, sono le protagoniste di questi racconti, che in realtà parlano di me e dei fatti miei e che spessi questi si intrecciano in una moltitudine di cose , che alle volte , potrebbe sembrare che con la ricetta in se non abbiano nulla a che fare.

Ma il filo del discorso fateci caso, nasce sempre da un qualcosa che poi abbraccia sempre tutto l’insieme.

Non è facile aver scelto questo tipo di narrativa per accompagnare le dosi di questa o quell’altra preparazione; quando ho immaginato questo blog , non ho mai pensato, ma neanche per un secondo, che questo potesse essere soltanto una ricetta e basta; ne ho letti tanti e sono tutti più o meno così, ma io avevo in mente che fosse qualcosa di speciale, un luogo dove potervi raccontare questi strani e  vaghi pensieri che affollano la mia mente.

Io avevo immaginato questo blog un millennio prima della sua realizzazione e mi ha sempre spaventato il fattore tempo,  il mio cruccio più grande è quello di non saperlo gestire come una foodblogger, una foodblogger di quelle top per capirci.

E qui, è intervenuto il destino.

Ciò che è destinato a te troverà il modo di raggiungerti. Hester Browne.

E mi ha messo nelle mani questo diario e io c’ho messo le mie idee, ma anche i miei pensieri e non posso fare a meno di non pensarlo proprio cosi:

Pieno di parole, pieno di cose, pieno d’amore.

La tarte tropezienne

innanzitutto non fatevi spaventare dal nome , è che quando usiamo un titolo francese ha tutto un aspetto tres chic, se l’avessi chiamata torta di brioche con crema diplomatica, insomma, si sentiva un po la ricalcatura cilentana 🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣 e addio noblesse oblige !

Come tutte le storie che hanno per protagoniste delle ricette che dal nulla diventano improvvisamente delle star anche questa della tarte tropezienne nasce manco a farlo apposta per un’intuizione o per sbaglio o per aver dimenticato un ingrediente ( ve la ricordate la storia della tarte tatin ?)

E questa volta nemmeno si ci allontana troppo.

Dunque nel 1955 A saint tropez il polacco Alexandre Micka apre una patisserie /boulangerie , del suo favoloso destino a lui riservato, non ne era nemmeno lontanamente a conoscenza; sforna queste brioche grosse e tozze ripienissime di crema, come omaggio alla nonna che gliele preparava sempre quand’era piccolo; il successo era ancora un miraggio, in quanto fino a quel momento , della bella sain Tropez, non gliene fregava niente a nessuno; capite, niente vips, niente auto rombanti, niente di niente.

Vi dirò, quasi quasi era come un antico e piccolo paesello di mare, ove sbarcavano vecchi e bambini con la tisi per curarsi al sole e al mare , insomma, un posto per gente un pò agee …

E di questo saint Tropez al secolo San torpete da pisa (ma in francese fa sempre tres chic ricordatelo mi raccomando) non se lo filava nessuno, ovviamente con questo nome, lo amava solo sua madre che si sa, ogni scaraffon è bello alla maman soa.

Insomma, un paese che non differiva a nessun altro luogo di mare dall’ottocento ad oggi, con vecchietti, madri e bambini, che mangiavano  le brioche a doppia farcitura con i cristallini di zucchero del caro buon alexandre.

Ma come sempre accade, Il San Torpete da Pisa, in un attimo nel ’56 divenne la località più à la page dell’intero universo, insieme al bikini sdoganato giorno e notte, gli occhiali da sole e la grassa brioche della nonna.

Infatti Roger Vadim lo scelse come località per un film la cui protagonista era la seducente e sensuale sempe in bianco bikini  Brigitte Bardot :il maestro alexandre Micka  mette a disposizione della troupe la sua boulangerie per preparare i pasti e galeotta fu l’offerta della grassa brioche della nonna, che conquistò davvero tutti ma soprattutto una golosissima Brigitte Bardot, che ne divenne una cultrice esagerata e alla quale diede anche il nome battezzandola dapprima  Tarte de Saint Tropez e poi per comodità comunicativa divenuta tarte tropezienne.

           

La caratteristica base di questo dolce consiste nella sua base brioche, che dev’essere bella piena e soffice, il ripieno di crema chibouste e una spolverata generosa di granella di zucchero chiamati anche cristalli.

La storia dell’umanità gira intorno cose semplici, preparate dalle nonne e date a mangiare ai pargoli, con quintalate di crema e zuccherini e nessuno diceva niente mentre oggi, se ti azzardi a fare più di una brioche a settimana ti stanno già crocifiggendo, segnalando ai gruppi di salvataggio anonimi e scrivendo alla polizia della dieta!!!

Oggi i nonni passano sottobanco dolci e pasticcini uguale a come mio nonno ci curava con l’aperol 😂😂😂😂

ma voi ci avete mai pensato:

Che fine avrebbe fatto l’umanità se le nonne non avessero preparato le loro leccornie da offrire ai loro nipoti?

👵👵👵👵👵👵👵👵👵👵

Le vicessitudini della Bardot, la sua bellezza sfavillante e l’accostamento alla burrosa tarte tropezienne, strabordante, voluttuosa e irresistibile è una sorta di coppia matta che dagli anni cinquanta rimbomba ancora oggi il suo eco , nello sfavillante pezzo di cote d’azur che da paesello divenne il centro della mondanità, come il più bruttarello dei rospi divenire uno sfavillante principe.

😂😂😂😂😂😂😂😂😂😂😂😂😂😂😂

La tarte che vi propongo io, non ha la crema chiboust (crema pasticcera e meringa all’italiana) e mi sono presa una licenza poetica, sperando di non urtare la sensibilità della Bardot che negli anni ha perso tutta la sua simpatia ed è diventata alquanto ‘mbicciosa e litigiosa 😂😂😂😂😂😂😂😂😂

Ho inserito le fragole fresche, ma se proprio volete essere originali basta semplicemente toglierle.

Intanto, potrebbe essere una bellissima e golosissima idea da presentare per la festa della mamma!

Per una volta sono in anticipo sui tempi di ben due mesi!!!! Incredibile 😂😂😂😂😂😂😂😂😂

     

Vi lascio la ricetta, ma prima vi chiedo :

Ci credete al destino?

Grazie per la vostra infinita pazienza, se vi è piaciuta questa ricetta ,lasciate un 💗a supporto del mio lavoro.

Grazie per aver letto fin qui.

Enjoy life 🎈

tarte tropezienne

Lievitino:

50 gr di farina 00

12 gr lievito fresco

50 ml latte a temperatura ambiente

impasto.

200 gr farina 0

80 gr farina 00

180 ml di latte tiepido

1 cucchiaino di vaniglia

70 gr di burro morbido

50 gr di zucchero

1 uovo medio o due piccole

sale un pizzico

Crema pasticcera:

500 ml latte intero

1 baccello di vaniglia

la buccia di un limone

180 gr di zucchero

70 gr di maizena

5 tuorli

50 gr di burro

250 ml di panna fresca

25 gr di zucchero a velo

finitura:

250 gr di fragole fresche

1 tuorlo e pari peso di panna miscelati insieme

granella di zucchero

procedimento:

preparare il levitino, che garantirà una lievitazione soffice  alla vostra brioche.

In una ciotola non troppo grande, setacciare la farina, aggiungere il lievito spezzettandolo con le dita ed amalgamare con il latte fino ad ottenere una pastella omogenea, spolverare con pochissima farina la superficie della pasta, incidere a croce  e porre a  lievitare coperta e al caldo per un’ora.

Trascorso il tempo, riscontrerete che il lievitino è bello gonfio e bolloso.

Nella ciotola della planetaria setacciate le farine , unite lo zucchero e tutto il lievitino.

Montare il gancio ad uncino ed iniziare a lavorare la farina.

aggiungere gradualmente il latte che dev’essere a temperatura ambiente.

Quando inizia ad amalgamarsi, aggiungere la vaniglia e l’uovo leggermente sbattuto.

L’impasto deve incordare e quando si stacca dalle pareti aggiungere il burro a fiocchetti e solo quando sarà incordato nuovamente, il sale.

Una volta pronto l’impasto, porre a lievitare fino al raddoppio  in una boule coperta , al riparo da correnti per un paio d’ore circa.

Trasferire in frigorifero per 12 ore.

nel frattempo preparare la crema pasticcera.

In una pentola versare il latte e il baccello di vaniglia inciso per la lunghezza .

Portare a sfiorare il bollore e poi lasciare in infusione per circa 1 ora.

Lavorare lo zucchero con i tuorli finchè divengono bianchi e spumosi, setacciare sulla battuta l’amido di mais ed amalgamare il tutto.

Con un mestolo diluire con poco latte la crema e dopo trasferirla nel resto del latte.

Cuocere a fiamma media, mescolando continuamente fino a che la crema non vela il cucchiaio.

Trasferire in una pirofila di vetro bassa e larga, aggiungere il burro ed amalgamare il tutto.

Raffreddare dapprima scoperta e quando è tiepida (quasi fredda) coprire con pellicola a contatto e trasferire in frigo.

il giorno dopo mettere fuori l’impasto della brioche e lasciarlo acclimatare.

Quando l’impasto della brioche sarà raddoppiato, trasferirlo su di una spianatoia leggermente infarinata e lavorare l’impasto in modo da ottenere una palla bella omogenea ed elastica.

Disegnate su di un foglio di carta forno un diametro da 25 cm , rivoltate il foglio e stendete la pasta in modo da ottenere un cerchio abbastanza regolare 🙂

Potete anche aiutarvi con un anello di acciaio o l’anello apribile di una tortiera

Sistemate su di una teglia, coprite con pellicola e fate lievitare nuovamente.

Ci vorranno all’incirca un trenta minuti.

Preriscaldare il forno a 180° e spennellare la superficie della brioche con tuorlo e panna pari peso e solo su una cospargere di granellini di zucchero.

Cuocere all’incirca 25 minuti la brioche è pronta quando è bella gonfia e dorata.

Montare la panna fresca con lo zucchero a velo ; far temperare la crema lavorandola con un cucchiaio per ammorbidirla e aggiungere la panna e amalgamarla al composto.

Tenere in frigo a rassodare.

Quando il disco è pronto, trasferitelo su di una gratella a raffreddare.

Lavate e asciugatele fragole, tagliatele a spicchi di quattro e conditele con poco zucchero e limone.

Una volta che la brioche è fredda,  tagliarla in due e posizionare il disco inferiore su di un piatto da portata, farcire con abbondante crema utilizzando il sac a poche con becco tondo largo.

Ricoprire tutto il disco con la crema, cospargere di fragole e coprire con il secondo disco con i granellini.

Tenere in frigo un paio d’ore per far amalgamare i sapori.

Cospargere leggermente di zucchero a velo all’uscita dal frigorifero.

La tarte tropezienne è pronta!

Grazie per aver letto fin qui e alla prossima ricetta!

Vi ricordo che potete trovarmi su instagram e facebook con tanti  altri articoli e contenuti .

Grazie La Tere 💗

 

 

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