Dolci tipiciRicette

biscotto cilentano con la mandorla

viscuotto ca’ menula.

Cantucci cilentani.

biscotto della sposa.

Morselletti o morzelletti

questi sono solo  i nomi più utilizzati per chiamare la stessa cosa e non ho approfondito come al mio solito, allargardomi oltre , ricercando in lungo ed in largo , dall’alto cilento al basso cilento, solo perchè sono stata molto impegnata e non ho avuto modo di fare ricerca.

🙄🙄🙄🙄🙄🙄🙄

per questo motivo,

per questo biscotto mi baserò sui racconti delle mie nonne, su quello che mi ha raccontato la mia mamma e le mie zie; e se anche , tutto questo che vi racconto, non ha nessuna base scientifica accertata e quindi è sempre la mia storia discutibile, prendetelo come un racconto di una leggenda metropolitana, uguale se volete ai coccodrilli nelle fognature di new york e ai munacieddi sotto i letti.

Io vivo nel Cilento, nella parte  più centrale , in una sorta di ombelico strategico situato tra terra e mare ed ho avuto la fortuna di viverci anche bene , almeno fin’ora.

Tranne quando ero adolescente; quando ero adolescente volevo scappare non lontano, lontanissimo! Di questo luogo non mi piaceva niente, lo trovavo antico, arretrato e  talmente lontano da tutte le realtà urbane che mi affascinavano, da farmi desiderare di andare via.per sempre.

Di fatto , sono andata, sono andata via da questa africa, da questi luoghi con quella sfacciata efferatezza che hanno solo i giovani; i giovani, soprattutto quelli ribelli, che credono che il mondo sia sempre un posto migliore se l’è un pò più in la del tuo luogo di origine.

E che cosa ho scoperto, in questi anni di apolidia, dove non mi sentivo cittadina di nessun luogo, men che meno della mia casa?

Ho scoperto di essere più cilentana di quanto credessi.

Ecco cosa ho scoperto;

Ho scoperto che il luogo dalla quale provengo è talmente ricco di storie e di storie fantastiche, che mille città scintillanti non avrebbero certo retto il confronto.

E che molto spesso abbiamo bisogno di stare realmente tanto lontani, altrimenti non capiamo cosa abbiamo vicino.

Io, dicevo, abito qua, nel cilento e più precisamente a castellabate, oggi siamo diecimila e mi sembra che siamo fin troppi 😂😂😂😂😂😂😂😂 quando un tempo mi sembravano troppo pochi gli abitanti di questo luogo;

la realtà è che qua, certe volte il tempo scorre con una progressione tutta sua, lento,lentissimo, veloce, velocissimo;

essì lo so, è così dappettutto, non vivo certo in un luogo magico, ma quando dico lento lentissimo, non sto scherzando

🙄🙄🙄🙄🙄🙄🙄🙄🙄

Dovreste venire nel cilento e lasciarvi ammaliare dai ritmi , che non sono assolutamente sincronici ai tempi di nessuno e lasciarvi cullare dalla dolce brezza e dai tramonti infuocati; lasciate le vostre frenesie, abbandonate le certezze che fino a quel momento sono state la vostra guida e lasciatevi rapire dal tempo che scorre lento, dai racconti delle  persone che sostano sulle panchine, che parlano di cose lontane ,accadute in un tempo che è stato lontanissimo, ma nemmeno troppo. Questo è quello che accade, quando sospesi in un limbo estemporaneo  che nonostante la modernità dei cellulari, del wifi, delle connessioni , rimane legato ad una tradizione lontanissima, che qualcuno potrebbe definire anacronistica, sorpassata, desueta nel suo essere tradizione; ma del resto le tradizioni sono così, ancorate ad un passato talmente lontano che si perde in chissà quale alba dei tempi e che continua, però, in qualche modo ad essere attualizzata ,  rivisitata, modernizzata , rimanendo sempre però tradizionale.

e qui, potrei aver detto tutto o in fin dei conti non aver detto nulla 😃

Io ho riscoperto la tradizione in tempi relativamente recenti.

Ho trascorso una buona parte della mia vita a scansare tutte le tradizioni che esse fossero culinarie, storiche o religiose.

Vi dirò , sulla religione non ho ancora cambiato idea, ma sulle tradizioni ho intrapreso un viaggio di riscoperta che non è ancora finito;

come fonte wikipedia, ho sempre il riferimento delle mie nonne che amavano raccontare fatti e  i famoosi “cunti”, quelli delle commari o che i passanti riferivano, ogni volta che si stava insieme.

Mia nonna Lisa era quella più forte nei dolci, ma solo perchè in campagna aveva più cose, ingredienti di facile reperibilità nelle case dove si coltivava il grano, si crescevano gli animali e si coltivavano i campi.

I miei nonni possedevano campi enormi, dove mi ricordo si seminava il grano a novembre per poi mieterlo in un giorno rovente di giugno, dove l’aria diveniva colore della paglia ed eravamo costretti a coprirci la  testa e la faccia con dei fazzoletti enormi;  ad agosto si raccoglieva l’uva per la vendemmia e a ottobre si stendevano i teli sotto gli alberi di ulivi secolari, per la racconta delle olive.

La nonna ci accoglieva sempre con grandi sorrisi anche a quelli come me che detestavano partecipare a queste “riunioni” di lavoro condiviso  e dal fazzoletto rosso a quadri bianchi, tirava sempre fuori un qualcosa di dolce, per farci e farmi innamorare a quelle tradizioni;

ma io avrei voluto  scappare, lontano lontanissimo da tutte queste cose,  che detestavo ampiamente e che non volevo assolutamente fare ; e le mie prediche, le mie proteste che arrivavano puntuali ogni qualvolta fosse richiesta la mia partecipazione, era una lotta obliqua , urla, stress, rivolte. Finiva sempre nello stesso modo però, anche soffrendo , dicevo di si ai nonni e partecipavo , con lo stesso cordoglio con la quale si partecipa ad un funerale, afflitta e scontenta, ma alla fine presente e puntuale (che parolona)

E i nonni, che non sono affatto nati ieri, certe cose le capivano benissimo, anche quando facevano finta di non aver compreso e quindi a quelli un pò scocciati, a quelli  strafottenti e ribelli, diciamolo, arrivavano i lavori più semplici : il basilico da mettere nelle bottiglie appena lavate, assaggiare il chicco d’uva prima di tagliare la pigna,pigiare l’uva nelle tinozze, portare il trattore da una parte all’altra, tenere fermo il telo mentre si legava al ramo dell’albero e a fine giornata, si riceveva il piatto di spaghetti più grosso, il soffritto fatto con la carne più tenera del maiale, il pane cacciato dal forno, prima di essere biscottato, caldo, fumante e profumato.

privilegi dell’essere dei rompiscatole cronici , per non sentire gli uffa a ripetizione 😆😆😆😆😆 oppure tattica messa a punto dai nonni lobbisti 😂😂😂😂😂😂😂😂😂😂

chi lo sa.

❤❤❤❤❤❤❤❤

Mia nonna in cucina aveva questi grandi talenti che hanno tutte le nonne e che forse un giorno, quando sarò nonna anch’io, acquisirò quella veggenza suprema del sapere ed immaginare tutto e saprò cucinare come una nonna fighissima!

ma nei suoi talenti principali, oltre ad una santa pazienza, c’era ogni tipo di pietanza salata mentre sui dolci , c’aveva quelle tre o quattro capisaldi cilentani che eseguiva alla perfezione e che suscitavano sempre le discussioni con qualche vicina invidiosa, alla quale la ricetta non riusciva perfettamente

😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆

Certamente le regole di esecuzione sono cambiate, come se da mia nonna ad oggi, fosse passato più di un millennio, quando sono appena trascorsi meno di 80 anni;

E alla faccia delle regole sul colesterolo , mia nonna friggeva nello strutto, di sua produzione perchè il burro era costoso e se proprio era finito lo strutto, friggeva in ettolitri di olio d’oliva,  accendeva la stufa a legna da ottobre a maggio quella dai piastroni concentrici in ghisa e cuoceva tutto li sopra, perchè più comoda di un fornello a gas.

i viscuotti ca’ menula o biscotti della sposa, erano un dolcetto secco che si preparava in occasione dei matrimoni ,battesimi o prime comunioni;

diversamente dalla torta cilentana o da qualche altro dolcetto preparato la domenica quando se ne aveva la possibilità, questi si preparavano solo per queste occasioni; ai matrimoni, qualche settimana prima dell’evento, si preparavano questi biscotti, che andavano rigorosamente conservati al lontano da occhi e mani golose 😁😁😁😁😁😁

In genere i banchetti nuziali erano allestiti nella casa migliore di aspetto tra i due; poteva essere questa dello sposo o della sposa, non faceva differenza.

Si chiamava una “pasticciera” , una persona che aveva più manualità e conoscenza dei dolci e preparava nei giorni che precedevano le nozze, dolci e biscotti da offrire agli invitati.

Sulle tavole, coperte di lenzuola o tovaglie del corredo della madre ,della nonna o della bisnonna (dipende da chi aveva la fortuna di possederla) si trovavano le torte cilentane , farcite di marmellata e coperte di naspro (glassa di zucchero) biscotti , pastarelle ripiene di mandorle, biscotti ca menula e confetti, oltre ad una scelta di liquori prodotti in casa , come fior d’arancio, vermouth e distillati vari. Difficilmente si usavano fare dolci con la crema, per l’assenza dei frigoriferi , usanza questa , acquisita negli anni cinquanta, quando le celle o i frigoriferi proprio, iniziarono a essere diffusi anche nelle case più modeste.

Gli sposi sedevano su sedie ricoperte da asciugamani bianchi, per distinguerle da tutti gli altri e per non sporcare i vestiti nuovi e qualcuno suonava romanticamente una fisarmonica .

Alla fine del banchetto, la sposa passava tra gli invitati offrendo confetti e biscotti con la mandorla, a ricordo della festa appena svolta.

Oggi non si attendono più le feste comandate o gli sposalizi per preparare questi biscotti che nella loro semplicità risultano sempre irresistibili.

La ricetta , non proviene da nessun racconto delle mie nonne, è quella che faceva la mia mamma, un pò modificata e riportata ai tempi che viviamo adesso; un pò perchè mia nonna non ha lasciato testimonianza scritta di nessuna delle cose che sapeva preparare , un pò perchè soleva preparare tutto ad occhio o se vogliamo dirlo più bello “a sentimento”.

 

Con questo articolo , mi sono dilungata più del solito e vi chiedo scusa casomai vi foste annoiati, per questo motivo vi lascio subito la ricetta .

Grazie per aver letto fin qui .

enjoy life 🎈

Biscotti con la mandorla

ingredienti

500 gr di farina 00

10 gr di ammoniaca

200 gr di zucchero

2 uova

la buccia grattugiata di un limone

100 gr di strutto o burro fuso

150 gr di mandorle tostate con la buccia

50 ml di latte tiepido

1 bicchierino di liquore al limoncello

1 pizzico di sale

uovo per lucidare e zucchero semolato per finire

procedimento

su una spianatoia versare la farina e formate una fontana al centro; versate lo zucchero e le uova ed iniziate ad impastare.

Grattugiate il limone sulla farina e versate l’ammoniaca sciolta nel latte tiepido. Continuate ad impastare aiutandovi con un tarocco , aggiungere lo strutto ammorbidito e il sale e continuare a  lavorare.

Tagliare grossolanamente le mandorle ed aggiungerle all’impasto, aiutandosi con poco limoncello o latte se servisse rendere l’impasto più lavorabile.

Dovete ottenere una pasta morbida ma consistente.

Coprite con un cannovaccio pulito e lasciare riposare una mezz’ora.

Tagliate la pasta in quattro pezzi più o meno e ricavate un filoncino da ogni pezzo , che adagerete su una teglia coperta di carta forno.

completate allo stesso modo gli altri pezzi rimasti e posizionateli in teglia non troppo vicini.

Spennellate ogni filoncino con l’uovo leggermente sbattuto e cospargete di zucchero semolato e mandorle tagliate grossolane

Cuocere in forno caldo a 190° per circa 15/20 minuti.

Trascorso questo tempo, la superficie del biscotto deve risultare consistente a non dura, estraete la teglia dal forno e tagliate obliquamente i filoncini più o meno della grandezza di due dita se vi piacciono panciuti o più sottili se li preferite più smilzi.

 

rimettete i biscotti in forno e fate completare la cottura fino a doratura completa del biscotto, all’incirca ci vorranno 15 minuti.

Se siete  così bravi da non mangiarveli tutti , si conservano anche fino ad un mese in una scatola chiusa ermeticamente.

Io li adoro pucciati nel caffè.

Grazie per aver letto fin qui ❤

Alla prossima ricetta !

 

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